Intelligenza artificiale e deepfake: dove portano le nuove frontiere della violenza maschile sulle donne

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Graziella Priulla • 3 Novembre 2025
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Ci risiamo. Ancora una volta il prodotto più evoluto dell’ingegno umano viene messo al servizio di una delle pulsioni più grezze dell’umanità, anzi della sua parte maschile. Come un tempo circolavano nei saloni dei barbieri calendarietti ammiccanti, come sulle pareti delle cuccette i camionisti incollano foto scollacciate, come i soldati tracciano segni sconci nei bagni delle caserme, così il web trabocca di immagini di donne nude e di accoppiamenti vari.

I forum mascolinisti

Non si tratta di soddisfare i tumulti ormonali di qualche adolescente, o le fantasie morbose di qualche maniaco, o le ossessioni di qualche guardone: i forum in questione ospitano milioni di utenti, migliaia di iscritti sono attivi ventiquattro ore su ventiquattro. Il secondo, al massimo il terzo sito più visitato è porno. L’intero business si finanzia con un giro vorticoso di pubblicità specializzata.

Scorrendo nei siti si trova materiale intimo trafugato, circolano contenuti privati condivisi: chiusa una piattaforma se ne apre un’altra

Per molti la rete diventa il mondo corsaro in cui liberare frustrazioni nascoste. Se avevamo già conosciuto “Mia moglie” e “Phica.eu”, ora ci troviamo di fronte a qualcosa di ancora più esteso: su “Social media girls” l’intelligenza artificiale viene usata per pubblicare immagini femminili manipolate in chiave pornografica e create all’insaputa delle interessate, incluse molte figure note, dalle conduttrici televisive alle giornaliste alle attrici alle politiche alle influencer. Seguono commenti sessisti, incitamenti espliciti alla violenza: un tritacarne da cui nessuna si salva, un danno immenso alla coscienza di sé, alla vita sociale e familiare, alla serenità quotidiana.

Il caso di Francesca Barra

Il caso più recente è esploso sui social e sui giornali grazie alla denuncia pubblica della giornalista e scrittrice Francesca Barra, una delle vittime dell’andazzo, che ha reagito dicendo: “è una violenza e un abuso che marchia la dignità, la reputazione, la fiducia. Un furto dell’immagine, del corpo, della libertà di essere viste come si è, non come un algoritmo o una mente malintenzionata decide di rappresentarci”.

È difficile denunciare. L’imbarazzo si associa al turbamento, al disagio, al timore del giudizio, alla convinzione rassegnata che il fenomeno resti alla fine senza controllo

Francesca Barra

È un’iconografia della subordinazione dove le donne sono afasiche, degradate, costrette a pose standardizzate, ridotte a oggetti con cui gli uomini giocano per la propria soddisfazione. Curve maggiorate, attività meccaniche, atteggiamenti sfacciati, amplessi violenti. In rete si offrono giochi di violenza sulle donne. Le piattaforme europee di fact-checking segnalano continuamente crescite esponenziali di “fake nudes” di persone comuni. Basta una app gratuita. Nel videogioco Rapelay il personaggio controllato dal giocatore si scaglia su qualsiasi donna nei paraggi invitando altri personaggi maschili a partecipare all’azione.

 In Rapelay Si possono anche visionare lacrime e ascoltare suppliche delle vittime violentate

Se condanniamo cadiamo nel moralismo? Il limite del consentito, che a noi donne sembra evidente, per molti maschi ancora non lo è. Senza arrivare a questi estremi nei forum, blog, social non manca mai il tizio che lascia un commento volgare, offensivo, discriminatorio, persino minaccioso; che indica qualcuna al branco per incitare al linciaggio. Lui magari si cela nell’anonimato: la vittima è esposta.

La libertà è nell’immaginario dello stupro?

È davvero lo scotto da pagare alla modernità? Siamo sicuri che sia libertà? Abbiamo constatato che per molti parlamentari della Repubblica l’esposizione a scopi commerciali di foto scollacciate equivale a libertà di espressione: propongono che la pubblicità sessista debba essere consentita. Il corpo delle donne è e deve restare materiale di consumo: sui muri delle città siamo abituati a vederlo come richiamo che fa leva sul desiderio maschile per vendere auto, bibite, pizze (te la diamo gratis) e perfino betoniere e pannelli fotovoltaici (montami a costo zero).

Il consumatore medio è visto come un cane di Pavlov che sbava alla sola vista di carne esposta davanti a lui

La tv italiana è popolata da più di quarant’anni da corpi reificati e muti ma loquaci nella loro funzione di segni: le telecamere inquadrano volentieri le scollature e il “lato B” per solleticare pruriti, per far lievitare i fatturati. Da decenni è questa la fonte privilegiata dell’immaginario sessuale degli italiani: gioco collettivo, orgia visiva, risate grasse, battute salaci, ammiccamenti. Sono comportamenti abituali che ricordano che il suo corpo non appartiene a una donna fino in fondo, che chiunque può disporne perché lei è solo una donna: non merita il rispetto dovuto tra pari.

Ricordiamo i tempi non lontani in cui esplose il #MeToo sulle molestie sessuali: molta gente sembrò più preoccupata dagli eventuali eccessi di censura che dalle questioni scoperchiate. Caccia alle streghe, puritanesimo di massa, si lesse in rete e sui giornali di regime. Se nella giornata reale un uomo vedrà le donne come oggetti da palpare lo saranno ancora di più nel mondo virtuale: e allora verranno insultate in tutti i modi possibili, si farà ironia perfino su stupro e femminicidio. Non basta avere una connessione iperveloce e un tablet di ultima generazione per essersi affrancati dalla primordiale condizione di predatore genetico.

Se diffondere foto altrui senza autorizzazione è reato, spogliare senza consenso è uno stupro, non importa se è “soltanto” virtuale

Espropriazione dei corpi delle donne 

Una donna oggetto non merita nemmeno di essere consultata. La cultura maschilista ignora il consenso: è ancora difficile accettare che nessun corpo deve essere soggetto alla volontà altrui, che nessuno dev’essere reificato. Per accedere a questa convinzione bisogna rinunciare allo stereotipo dello sfruttatore e del violentatore come bruto o soggetto deviante, per ricomprendere persone che vivono situazioni di apparente normalità.

A seguito di tutte queste considerazioni sarebbe bello che fossero i maschi a porsi qualche domanda.

  • Che povero immaginario è, che grama vita sessuale è quella che va spasmodicamente alla ricerca di immagini di corpi nudi per eccitarsi?
  • A che tipo di relazioni con l’altro sesso è abituato ad accedere, chi compulsa freneticamente una tastiera alla ricerca di simulacri di estranee su cui esercitarsi?
  • Quale rispetto per le donne può avere, chi le vede unicamente in funzione del proprio desiderio, le usa come strumenti di prevaricazione o anche solo di masturbazione?
  • È in una società simile che vogliamo far crescere figli e figlie?

È puerile e autoassolutorio rispondere: io no. Non stiamo parlando di colpe ma di responsabilità. Non sempre di coinvolgimento attivo ma troppo spesso di inerzia. Forse oltre che reprimere si potrebbe cercare di prevenire. Forse se la sessualità si declinasse serenamente fin dall’infanzia. Forse se in tutte le case, in tutti gli uffici, in tutte le fabbriche, in tutti i campi sportivi, in tutti i gruppi di amici ecc. si rispettassero le donne, l’incidenza di questi pericoli sarebbe minore.

Graziella Priulla

Sociologa e saggista, già Docente di Sociologia dei processi culturali all’Università di Catania.

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